
Il territorio di Maderno, a circa 37 km da Brescia, si affaccia su un golfo e si sviluppa nell’entroterra con una fascia collinare e di media montagna. In età romana il centro era attraversato da una diramazione della via Gallica che congiungeva Brescia all’alto lago; l’importanza del sito in età imperiale è attestata dal gran numero di epigrafi e sculture di età flavia reimpiegate nella facciata romanica di Sant’Andrea. In età medievale Maderno divenne sede di una corte vescovile, forse sviluppatasi da un’antica corte regia.
La pieve è documentata dal 1041; i confini del suo ristretto territorio erano definiti a sud dal corso del Bornico, che lo separava dalla pieve di Salò, mentre la pieve di Toscolano estendeva la sua giurisdizione anche sulla sponda meridionale del torrente Toscolano
con la cappella di San Benedetto al ponte. In età romanica sono ricordate altre chiese, di presumibile fondazione monastica, come Santi Faustino e Giovita di Maclino, documentata nei registri di investiture del vescovo Berardo Maggi alla fine del Duecento, o esito delle politiche di ampliamento e controllo territoriale di enti relativamente lontani come il vescovo di Cremona, che sul Garda possedeva non trascurabili beni fondiari ma anche una cappella a Monte Maderno intitolata a sant’Imerio, documentata nel 1196.
San Martino a Monte Maderno, priva di attestazioni documentarie, presenta una struttura a pianta circolare e un ampio reimpiego di laterizi romani nel portico di XVII secolo, e potrebbe essere ricondotta a età altomedievale e alla presenza di una struttura difensiva sull’altura, di cui nulla è sopravvissuto a causa degli sbancamenti recenti dell’area.
Sant’Andrea
Sant’Andrea sorge presso l’approdo all’interno del golfo di Maderno: la piazza che lo separa dal lago è stata realizzata nell’Ottocento, ampliando l’antico sagrato; la via Benamati,lungo il fianco della chiesa, corrisponde all’antica via Regia che ricalcava il tracciato della strada romana: questa, che a Maderno lasciava il percorso litoraneo per inoltrarsi su un tracciato di mezza costa, congiungeva la viabilità maggiore verso Brescia e Verona con Salò, Toscolano, Gargnano; l’importanza del collegamento viario condizionò l’impianto dell’edificio, che appare orientato a nord-est.
La titolazione fa supporre un’origine tardoantica, forse in relazione con la donazione di una particola delle reliquie dell’apostolo Andrea che si ipotizza siano state condotte a Brescia nella seconda metà del IV secolo dal vescovo Filastrio; alcuni elementi di arredo liturgico, reimpiegati nelle murature romaniche, ne documentano l’esistenza nell’VIII secolo; la prima attestazione della chiesa, accompagnata da un’indicazione sulla sua dignità battesimale, risale al 1040. Nel 1282 Berardo Maggi, nel quadro del rilancio dell’autorità vescovile, procedette all’inventio delle reliquie di sant’Ercolano, vescovo di Brescia morto a Campione nel 576: la notizia della sepoltura di Ercolano risulta aggiunta nei martirologi dell’XI-XII secolo di Brescia, Verona e Trento e, all’interno della chiesa, tutte le testimonianze figurative sul santo vescovo appaiono posteriori alla fine del XIII secolo: è possibile che tra VI e VII secolo le reliquie apostoliche abbiano attratto la deposizione delle spoglie del vescovo; progressivamente la chiesa si arricchì di altre reliquie, fino a raggiungere la consistenza dell’elenco del 1342, comprendente resti dei vescovi bresciani Felice, Ursicino, Faustino.
Nel 1825 la consacrazione – dopo una lunghissima fase di cantiere – del Sant’Andrea Nuovo, edificato sul sito del castello medievale di Maderno, poi divenuto palazzo del podestà e distrutto da un incendio (1645), segnò la perdita del ruolo liturgico della basilica romanica: il nuovo clima romantico e storicista la assunse tuttavia a insigne testimonianza del passato madernese e come tale venne preservata dalla prevista demolizione. L’indagine sulle strutture è parziale: nel 2002 è stata effettuata un’analisi stratigrafica degli elevati ma manca uno scavo archeologico, anche se è plausibile che l’area conservi significative potenzialità, sia all’interno della chiesa, sia a E nell’area della canonica, anche se interessata dalla costruzione delle cappelle laterali nel XVI secolo.
Le strutture visibili e le tracce osservabili consentono di individuare una sequenza di almeno due fasi costruttive:alla più antica (XI secolo) appartengono il muro perimetrale lungo via Benamati, una porzione di perimetrale in corrispondenza del campanile e l’impianto della cripta; in una fase successiva, forse nel secondo quarto del XII secolo, l’edificio venne ricostruito a pianta basilicale, con unica abside, con un sistema alternato di pilastri e colonne dotato di una ricca decorazione scultorea connessa tutta via a modelli più arcaici: i cantieri lombardi della fine dell’XI secolo, da Milano a Piacenza, a Rivolta d’Adda.
Intorno alla metà del Quattrocento vennero rimosse le colonne intermedie e costruiti i grandi archi a sesto acuto fra i pilastri; le coperture lignee vennero sostituite da volte a crociera, mentre al 1567 risale la ricostruzione dell’area presbiteriale a testata lineare e copertura a cupola. Pochi anni più tardi (1580) Carlo Borromeo impose la demolizione della cripta e l’apertura di cappelle laterali in cui ospitare gli altari minori e il corpo di sant’Ercolano. Dalla fine dell’800 le condizioni dell’edificio, compromesse dalla mancata manutenzione delle coperture, e una sensibilità indirizzata alla rimozione delle superfetazioni di età moderna per recuperare l’aspetto “originale” dell’edilizia religiosa romanica portano a una serie di restauri che alterano significativamente l’edificio e nel1959/1962 alla riedificazione della cripta e alla demolizione della prima cappella sul lato meridionale.
Nei secoli gli interventi architettonici si accompagnarono a campagne decorative, a partire dal tardo Trecento, in parte legate ai numerosi altari secondari (otto) che si allineavano lungo le navate laterali. La presenza a Maderno della sede del consiglio della Comunità di Riviera e del rappresentante della dominante (di volta in volta Milano o Venezia) favorì fino alla metà del Quattrocento la committenza in Sant’Andrea: l’elemento indubbiamente di maggior pregio è la piccola tavola di Paolo Veneziano, rappresentante la Madonna con il Bambino in trono e due offerenti, commissionata da Andrea Zeno (1347), che documenta l’intensa influenza veneziana sul Garda e più in generale sul territorio bresciano.
La basilica faceva corpo con le case canonicali (di cui le fonti medievali citano la porticus e la laubia) e con ogni probabilità con il battistero, parallelo alla chiesa e separato da essa dalla corte canonicale, sostituito nel corso dell’Ottocento dall’attuale oratorio mariano: una fotografia di fine Ottocento riproduce ancora il muro duecentesco in pietre bugnate che chiudeva le case canonicali.
Strutture
L’edificio si presenta con un impianto basilicale a tre navate e presbiterio rialzato su una cripta a oratorio ed è l’esito di una complessa genesi e delle profonde trasformazioni che si susseguirono dal1580 agli anni Sessanta del XX secolo. Il prospetto a profilo spezzato è caratterizzato da una muratura in opera quadrata con grandi conci lisciati in botticino, rosso ammonitico e pietra grigia proveniente dalle vicine cave di Seasso (in territorio di Toscolano, ora esaurite ma usate anche per l’edificazione del duomo di Salò). La parte centrale è dominata da una ricca articolazione plastica: il portale, incorniciato da un complesso sistema di semicolonne e lesene e sormontato da una monofora gradonata, è contenuto in una sorta di protiro riportato al piano, una soluzione di matrice lombarda che si osserva ad esempio a Pavia,in San Pietro in Ciel d’Oro, e alla Sacra di San Michele, all’imbocco della Val di Susa.
Al contempo i contrafforti a sperone su cui si impostano le semicolonne che inquadrano il corpo centrale della facciata costituiscono un elemento assai meglio documentato a Verona (da San Zeno alla Cattedrale tra gli anni ’20 e fine anni ’30 del XII secolo) che in Lombardia (dove sono attestati nell’abside di San Giovanni in Conca a Milano, di incerta datazione tra la seconda metà dell’XI e il primo XII secolo). L’eterogenea decorazione scultorea da un lato è caratterizzata da un puntuale recupero del linguaggio classico evidente nei notevoli capitelli corinzi, dall’altro nei rilievi fa ricorso a iconografie dai complessi significati religiosi e morali, a volte fraintese o rappresentate in maniera imprecisa, tanto da suggerire un prevalente interesse estetico – decorativo. L’esecuzione si deve a maestri probabilmente lombardi affiancati da maestranze locali, riconoscibili per un linguaggio meno aggiornato e raffinato accostabile a quello dispiegato nell’abside di San Zeno di Lonato. La lunetta del portale ospita, in condizioni di estremo degrado, la rappresentazione della Madonna con il Bambino fra due santi, presumibilmente Andrea a sinistra (è riconoscibile la barba) ed Ercolano a destra, individuabile per le tracce della mitria; una sequenza di santi è rappresentata anche sull’architrave e anche in questo caso sembra possibile individuare il santo vescovo. Si tratta in entrambi i casi di interventi posteriori alla facciata romanica, riconducibili almeno alla fine del Duecento.
Particolare evidenza ha nella facciata il massiccio reimpiego di spolia romani agevolmente reperibili in zona grazie al capillare insediamento di età romana: gli elementi architettonici e i rilievi da monumenti celebrativi e religiosi, rigorosamente posti in opera rovesciati, a simboleggiare la vittoria sul paganesimo, richiamarono l’attenzione degli umanisti, che tra Quattro e Cinquecento ne lasciarono numerose, puntuali descrizioni.
Il fianco lungo via Benamati presenta una muratura in bozzette allineate regolarmente, scandita da lesene ed è definita da una cornice ad archetti in laterizio; sulla terminazione orientale si inserisce la muratura in opera quadrata della testata lineare della navata laterale ed è possibile osservare la base modanata dell’abside centrale della fase romanica su cui si innesta il presbiterio quadrangolare cinquecentesco.
All’interno le navate sono attualmente separate da tre coppie di sostegni, costituiti da pilastri quadrangolari con semicolonne addossate; nell’impianto originale i pilastri erano alternati a colonne secondo una tipologia diffusa in area veronese (San Zeno Maggiore, San Lorenzo in città; San Floriano Valpolicella, San Pietro di Villanova, Madonna della Strà). Le coperture erano originariamente lignee – salvo forse nel presbiterio, per il quale è stata ipotizzata una copertura a crociera – e solo nel XV-XVI secolo vennero realizzate
le volte in muratura.
In corrispondenza della terza coppia di pilastri si imposta la testata occidentale della cripta, frutto della ricostruzione del 1959-62: al vano si accedeva mediante le due scale nella navata centrale, mentre il presbiterio era collegato all’aula da due scale nelle navate
laterali. Nella cripta sono parzialmente conservati i muri d’ambito scanditi da semicolonne addossate a lesene, mentre il sistema dei sostegni è frutto del rifacimento novecentesco. Al centro dell’abside si apriva una monofora strombata orientata verso est e per
questo disassata rispetto al vano; sotto la monofora si trovava l’altare di cui si riconosce tuttora il basamento. Al centro della cripta si trova il coperchio del sarcofago di sant’Ercolano che, fino agli anni ’60 del XX secolo, recava l’immagine del santo, attribuibile,sulla scorta delle testimonianze fotografiche, alla fine del XIII secolo e presumibilmente realizzato in occasione della inventio di Berardo Maggi.
Il corredo decorativo, portatore di significati morali e religiosi, era affidato prevalentemente alla scultura: le fasce capitellari dei pilastri sono caratterizzate da un complesso repertorio di motivi a intreccio, elementi zoomorfi, recuperi del modello corinzio che trovano puntuale riscontro nei cantieri di Milano, a partire da Sant’Ambrogio, di Piacenza(San Savino), o a San Sigismondo a Rivolta d’Adda, databili tra il pieno XI e i primi anni del XII secolo. Altrettanto significative sono le chiavi degli archi del presbiterio,dove figure demoniache e umane si contrappongono a indicare gli ideali della vita religiosa riformata. Come in facciata, anche il cantiere interno mostra riferimenti e livelli qualitativi eterogenei che denunciano la presenza di maestranze diverse. Sulla base delle tracce superstiti è ipotizzabile che la decorazione dell’aula fosse affidata principalmente alla scultura e alla finitura delle superfici murarie: restano, infatti, ampie sopravvivenze di una complessa finitura imitante una partitura muraria in opera quadrata con blocchi alternati rossi, bianchi, grigi, che venne realizzata direttamente sulla pietra o con una finissima preparazione. Ugualmente, stesure rosse, azzurre e nere interessavano la plastica architettonica; anche se non si possono escludere integrazioni nel corso dei restauri ottocenteschi, il colore era parte integrante del programma decorativo romanico. Diversamente, non restano tracce di scene o figure antecedenti la fine del XIII secolo e prevalentemente è possibile datare gli interventi pittorici superstiti a partire dal pieno Trecento. Alcuni interventi quattrocenteschi meritano particolare attenzione come il notevole San Sebastiano prossimo alla terminazione della navata sinistra.
Nei secoli le esigenze del culto in Sant’Andrea condussero al moltiplicarsi degli altari secondari: nella visita di Carlo Borromeo ne sono registrati otto, tra cui uno all’esterno della chiesa. I decreti della visita apostolica del 1580 imposero la radicale trasformazione
della chiesa e il suo adeguamento alle prescrizioni del Concilio di Trento: venne demolita la cripta per garantire la visione dell’altare da parte dei fedeli e la loro partecipazione al culto eucaristico, vennero realizzate le cappelle laterali per ospitare gli altari e una nuova decorazione tardo manierista con ampio dispiegamento di stucchi e dipinti murali secondo uno schema trasmesso dallo stesso arcivescovo milanese; venne trasferito il corpo di sant’Ercolano in un nuovo altare, accompagnato da un’epigrafe tuttora visibile nella
navata nord, mentre le reliquie ora sono collocate su un fastoso altare nella nuova parrocchiale.
Anche le pale vennero rinnovate in questa occasione e la chiesa venne dotata di dipinti di scuola veneziana in parte trasferiti, nell’Ottocento, in Sant’Andrea Nuovo.
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Medioevo sul Garda