
Un decreto emanato dal vescovo Raterio di Verona, attorno all’anno 966, ci informa che Santa Maria di Maguzzano era stata fondata da un privato che ne aveva poi fatto dono al vescovo, ma non chiarisce da quanto tempo l’abbaziola fosse legata al presule. Ci dice anche che, dopo che gli Ungari avevano incendiato il piccolo cenobio, vi risiedeva un individuo sposato e con prole che si era attribuito falsamente il titolo di abate e che, di fronte ai propositi riformatori di Raterio, non aveva esitato a cercare di corromperlo. Ma il presule, allontanato l’usurpatore, modificò lo stato giuridico dell’ente, destinandovi tre ecclesiastici che vi celebrassero messa tutti i giorni. Nessuno di loro poteva essere monaco, ma formalmente nulla doveva cambiare: tutti erano tenuti a cantare gli inni secondo l’antica consuetudine.
Non è chiaro quando i monaci regolari siano tornati al monastero, che ricompare nel privilegio che il papa Eugenio III rilascia nel 1145 al vescovo di Verona. Nel documento, oltre al cenobio, che disponeva di cappelle e decime, viene indicata anche una plebem eiusdem loci cum decimis e capellis suis, probabilmente la pieve di San Zeno di Lonato.
Dal 1289, tra le pertinenze del monastero, vi è anche il castello di Maguzzano, presso il quale vengono redatti alcuni atti; dal momento che non è citato nel privilegio papale del 1145, che invece allude ad altri castelli di proprietà del vescovo veronese, si può ipotizzare sia stato costruito dopo quella data e prima del 1289.
Dalla metà del XIII secolo, la situazione economica non appare florida. Nel 1247 l’abbas et conventus chiedono al papa Innocenzo IV di poter alienare beni a fronte di una grave situazione finanziaria. La riorganizzazione del cenobio viene attuata nella seconda metà del XV secolo, dapprima incorporandolo nel monastero di Santa Giustina di Padova (nel 1463), poi (dal 1491) in quello di San Benedetto Po (Mantova), al quale sarà legato fino alla soppressione napoleonica del 1797. Immediatamente dopo il passaggio ai monaci di Polirone, cominciarono i lavori di costruzione del monastero che in buona parte esiste ancora oggi. Il complesso comprendeva due chiostri, il primo ad oriente con la chiesa aveva funzione conventuale; il secondo era destinato alle attività produttive.
Tra il 2005 e il 2008 uno scavo archeologico nel cortile del chiostro rinascimentale, ubicato a sud della chiesa e delimitato negli altri lati da un porticato realizzato nel 1493, ha anzitutto restituito alcuni materiali che, seppure fuori contesto, indicano la presenza in quest’area di un insediamento romano, forse in relazione alla strada che da Brescia portava a Verona, passando poco più a sud del monastero.
La prima fase insediativa documentata consiste in una capanna in legno, seminterrata per 8-10 cm, con fondo concavo e una buca di palo angolare, tipica dei contesti di VI – VII secolo.
Successivamente, tra VII e VIII secolo,viene costruito un nuovo edificio con murature in trovanti morenici legati quasi esclusivamente con argilla, salvo poca malta piuttosto friabile, le cui pareti erano intonacate con una malta povera di calce stesa a cazzuola. Sulla pavimentazione in argilla è stato poi acceso un focolare. Nell’insieme queste murature sembrano disegnare un edificio residenziale con più ambienti (non sappiamo però quanti), organizzati attorno ad uno spazio aperto centrale, presumibilmente un cortile, al centro del quale vi era un pozzo scavato nel deposito morenico di limo-sabbia giallastra.
In una terza fase il complesso viene nuovamente riorganizzato con la costruzione di tre edifici con caratteristiche costruttive diverse e senza relazioni stratigrafiche dirette, ma che hanno avuto vita in comune per un lungo periodo. Un primo edificio è simile, per tecnica muraria, a quello della fase precedente, ma con una distribuzione più compatta degli ambienti. Le murature sono in pietre sbozzate legate nella fase più antica prevalentemente con argilla, successivamente da malta di colore biancastro, molto grossolana, con inclusi ciottoli di piccole dimensioni. Sono stati scavati due ambienti: uno, verso sud, aveva murature intonacate di colore biancastro, l’altro era dipinto in rosso, con figure di cui rimangono solo alcuni lacerti della parte terminale bassa e un pavimento in malta in fase con una tomba. La preziosità della decorazione e la presenza di una tomba inducono a interpretarlo come un edificio funerario, forse una cappella. La frammentarietà dello scavo impedisce però di confermare un’organizzazione liturgica dello spazio verso oriente, dove poteva esserci un altare.
Nell’angolo sud ovest è stata messa in luce una chiesa ad aula unica con abside semicircolare, la cui datazione, come termine ante quem, è fornita da un frammento di pluteo, databile entro la prima metà del IX secolo. Frammenti di intonaco dipinto con rappresentazioni figurate e tessere musive di colore bianco e blu scuro sono probabilmente riferibili alla decorazione pavimentale e parietale della chiesa.
Ad est della chiesa è stato scavato il perimetrale nord e l’angolo nord-ovest (lung. 3,45 m x larg. 1,40 m) di un terzo edificio, costruito con grosse pietre moreniche legate da malta e nucleo di materiale più minuto gettato alla rinfusa. Data la struttura massiccia, l’edificio è stato interpretato come torre. Forse a questa si riferisce l’iscrizione su un capitello, ricavato da un elemento più antico, che recita: abbas Gezonis fec(it) cooperir(e) hanc turrem.
I tre edifici erano contemporaneamente in uso, in quanto: (a) si rispettano, occupando spazi distinti; (b) il secondo edificio presenta più fasi costruttive, alcune delle quali posteriori alla costruzione della chiesa (una datazione radiocarbonica di X secolo fornisce il terminus post quem per la pavimentazione dell’ambiente, mentre alcuni reperti sembrano attestare un suo uso prolungato fino al basso Medioevo); (c) la torre è certamente in uso con la chiesa e rispetta gli altri due edifici.
In relazione con la chiesa sono state scavate otto sepolture, una delle quali, in prossimità della testa dell’inumato, aveva un’iscrizione incisa nella malta ancora fresca: † VBERTO LAICUS IN PACE R†EQUIES. A partire dalla grafia, dal nome del defunto e dalle caratteristiche delle croci, si può datare tra il X e l’XI secolo. Due personaggi, di nome Uberto, furono legati in qualche modo al monastero in quel periodo. Il vescovo Raterio ricorda un Hubertus parmensis e un altro Uberto, figlio di Arduino conte di Parma, compare in due documenti del 1090, in uno dei quali dona un appezzamento di terra alla chiesa di Santa Maria di Maguzzano, mentre nell’altro sottoscrive un atto nella Rocca di Manerba.
Alla chiesa e agli altri edifici si addossava probabilmente poi un portico che dava sul cortile con al centro il pozzo. Avremmo in sostanza una continuità della disposizione degli spazi edificati attorno ad un cortile centrale dalla seconda fase (VII-VIII secolo) fino alla fine del XV secolo, quando tutti questi edifici vengono demoliti per realizzare il chiostro attuale.
Nel settore nord del chiostro lo scavo ha messo in luce due edifici, datati tra X e XI secolo, uno dei quali affacciato su un’ampia area aperta di cortile dove sono stati documentati resti di cibo e attività artigianali.
Dopo la demolizione delle strutture murarie delle fasi precedenti e la realizzazione di alcune grandi buche riempite di macerie vengono deposti successivi riporti per creare un piano di cantiere per la costruzione del chiostro del 1492. Al centro del cortile è stato messo in luce un corpo mediano largo 8,5 m(edificio XII), rappresentato nella cartografia storica, che divideva a metà il chiostro dell’abbazia.
Gli scavi sono stati ricoperti, ma in un ambiente del monastero sono conservati un’epigrafe romana e frammenti dell’arredo liturgico altomedievale, rinvenuti negli anni ’60 all’interno della chiesa rinascimentale.
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Medioevo sul Garda