San Martino – Desenzano

San Martino – Desenzano

La chiesa è probabilmente ricordata in due documenti del 1042 e del 1111. Nel primo, un atto con cui la badessa del monastero di Santa Giulia di Brescia concede a livello (contratto agrario in uso nel medioevo) a Domenico, abitante del vicus di Sirmione, per un censo annuo di 18 denari, un terreno arativo, a prato e a bosco di 100 iugeri, sito in loco Rovedolo (fitotoponimo da rovere) non molto lontano dalla basilica di San Martino.
Nelle visite pastorali dell’inizio del ‘500 si annotano la dipendenza della chiesa di San Martino dal monastero della Santissima Trinità di Verona, la presenza di una cripta (fornices seucapellae subterraneae ricordate nella visita del 1541) e le cattive condizioni della chiesa: diruta et desolata nel 1530, tota discoperta nel 1541, quando il visitatore annota che in passato disponeva di molte proprietà attorno, allora acquistate da Girolamo Pedrazzi di Salò, che avrebbe volentieri demolito la chiesa per recuperarne materiali da costruzione. Nonostante nel 1870 la chiesa sia stata in gran parte demolita e ricostruita come ossario dei caduti nella battaglia del 1859, si conservano le tre absidi e il settore nord della cripta, mentre quello sud è stato interrato e quello centrale trasformato in ossario, eliminando il pavimento del presbiterio.
Le tre absidi semicircolari, intonacate con una malta cementizia, si vedono bene all’esterno. Quella centrale è molto alta (ca. 10 m dalla quota esterna di calpestio) e con una corda assai ampia (8,40 m all’esterno, ca. 7 m all’interno). Nel prospetto esterno dell’abside centrale, dove la malta è caduta, si può osservare una diversa tecnica muraria nella parte inferiore, in ciottoli spaccati in opera incerta, rispetto alla parte mediana (fino a ca. 8 m) che è invece in frammenti di laterizi di reimpiego con alcuni corsi a spina di pesce. La parte alta appartiene invece ad una terza fase.
Internamente, si conservano: il circuito dell’abside centrale, senza più il pavimento, in quanto la quota è ora quella della cripta, trasformata in ossario a parete; il settore nord con l’abside della cripta, coperto da volta a crociera con, sul lato ovest, un sottoarco di sostegno, il che suggerisce che da questo lato si saliva nella navata tramite una scala, probabilmente addossata al perimetrale.
Da quanto sopravvive fuori terra si desume che: (a) la chiesa è stata costruita sul bordo di un declivio, con la quota delle absidi e di almeno un tratto del lato nord più bassa di circa un paio di metri; (b) non è chiaro se la cripta esistesse fin dall’inizio o sia stata inserita in una seconda fase, ipotesi più probabile, considerato che l’abside è stata sopraelevata; (c) in corrispondenza almeno delle absidi, la larghezza della chiesa è ben 18 m, una grande chiesa dunque, come sottolinea la visita pastorale del 1541 (dove è detta grandis machina). Le differenti fasi costruttive dell’abside centrale suggeriscono una sequenza articolata che non ha però al momento ulteriori evidenze: in particolare, non possiamo dire se la sistemazione a tre absidi con cripta sia quella originaria o il frutto di una trasformazione. Per quanto riguarda la pianta, l’ipotesi più probabile, considerati la notevole larghezza del fronte orientale, associata ad una terminazione triabsidata provvista di cripta, e l’ampio accesso alla stessa lungo i perimetrali, è che l’edificio presentasse un impianto basilicale di tre navate e tre absidi, ipotesi da verificare attraverso una ricerca in archivio o uno scavo all’esterno della chiesa attuale. Con l’evidenza attuale è difficile proporre una cronologia per l’ipotetica prima fase che potrebbe essere testimoniata dalla tecnica muraria della parte bassa dell’abside centrale e che ha come solo riferimento l’ampiezza della corda della medesima abside; alla seconda potrebbe essere attribuita la cripta voltata a crociera, un elemento strutturale che si trova nella cripta di San Felice di Pavia, forse già nella fase altomedievale, ma che ha maggior diffusione tra fine X e inizi XI secolo. Mancano infine informazioni sulla committenza, che, considerate le dimensioni, deve essere stata di alto livello e sulla funzionalità di una chiesa, che il documento del 1042 indica semplicemente come basilica, mentre le visite pastorali della prima metà del ‘500 ne ricordano una dipendenza dal monastero vallombrosano della Santissima Trinità di Verona, fondato nel 1073, quindi dopo la prima attestazione della chiesa. In zona avevano proprietà il monastero di San Salvatore di Sirmione e, probabilmente, anche quello di Santa Giulia di Brescia, ma non abbiamo elementi per attribuir loro la chiesa.

03g--Chiesa-di-San-Martino-di-Rivoltella,-pianta-della-fase-originaria-e-sezione-dell'abside-nord-della-cripta.

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Medioevo sul Garda